Di Eleonora D’Angelo, Sardegna Wanderlust III
I passi dei pastori celano antiche e avvincenti storie, avventure fra i sentieri meno battuti, i più insoliti e straordinari. In sardo l’antica pratica della transumanza è detta tramuda, termine derivante dal latino trasumere, cioè trasportare, in riferimento alla movimentazione degli animali. In effetti i pastori del Gennargentu si spostavano a piedi, percorrendo chilometri e chilometri in direzione del Campidano, regione ricca di prati erbosi per sfamare le greggi in cui trascorrevano mesi, lontani da casa. Non tutti sanno che a Stintino, invece, la transumanza era detta giumpera, che significa letteralmente saltare da un luogo all’altro. In questo caso però, sarebbe corretto dire da una costa all’altra, perché le mandrie venivano traghettate dalla spiaggia La Pelosa o da Punta Falcone fino alle sponde dell’isola Piana, in un’impresa estenuante quanto rischiosa. Prima di partire, il bestiame andava assicurato al gozzo per le corna, e i capi ammessi erano massimo sei. La barca a remi venne poi sostituita dai natanti a motore, che consentivano di trasportare più animali, sempre con le dovute accortezze e considerando che, al rientro, i viaggi potevano moltiplicarsi. Dall’autunno alla primavera infatti, periodo in cui si transumava, potevano nascere i vitellini, portando nuova vita alle mandrie e alimentando la speranza di un futuro prospero. Il numero di bovini effettivamente stanziati variava anche in base alla piovosità della stagione: l’isola Piana risente di una forte siccità tranne alcune eccezioni: per questo i pastori predisponevano raccolte di acqua piovana, al fine di abbeverare i loro animali al pascolo. Nell’incanto di quel contesto, le mandrie si ergevano a custodi solitari della terra, abbracciando le distese di erba e il riverbero del mare. Per mesi, lasciavano orme di serena maestosità sulle rive deserte, un simbolo di forza e connessione con la natura selvaggia e silenziosa. Da una parte la transumanza stintinese è sconosciuta ai più, dall’altra abbatte il luogo comune degli animali in cammino piuttosto che in navigazione. In realtà poi – e il fatto curioso è questo – è provato che le mucche sfidassero il mare abituandosi a nuotare, se necessario! Un tempo si percepiva la transumanza come un viaggio, sottolineato anche da Sebastiano Mannia nel suo scritto In turvera: La transumanza in Sardegna tra storia e prospettive future. In questa affermazione va colto il senso di vastità che i pastori attribuivano agli spazi, indipendentemente dalla durata o dalla distanza del percorso, che potesse essere a piedi o in barca. Transumare significava varcare i confini e, nel caso di Stintino, gli orizzonti. Remata dopo remata, ciò che restava indietro, indietro restava. L’importante era attraversare Lu Passerellu come indicato dalle carte nautiche, evitando la scogliera affiorante al centro del canale. Così veniva chiamato il punto più stretto tra l’isola Piana e l’Asinara: il passaggio tra il mare di dentro e il mare di fuori. Tuttavia, preferibilmente i marinai approdavano a sud, optando per il tragitto più breve e sicuro, garantito dal fondale poco profondo de La Pelosa. Quando erano stanchi si fermavano nella Secca di Lu Cavaddu per una breve pausa. L’area marina deve il nome al fatto che le imbarcazioni, che trasportavano cavalli, vi ormeggiassero prima di riprendere la traversata. Che l’isola Piana sia stata per secoli terra di pastori lo confermano i toponimi storici, tra cui Lu Bachili (significa recinto per gli animali, ndr), una caletta cinta nella parte esposta a ovest da una scogliera, e Funtana, altra cala il cui nome suggerisce la presenza di sorgenti nelle vicinanze. Oggi le vie della transumanza sono state riscoperte e valorizzate. Con il progetto Tramudas, la rete ciclo-escursionistica sarda ha abbracciato gli itinerari percorsi dai pastori, ritenuti luoghi strategici della cultura dei territori. Percorrerli è un’opportunità unica, per i turisti, di conoscere tramite sentieri attrezzati, spazi di pernottamento e punti di appoggio, le antiche pratiche pastorali. Un domani, anche l’isola Piana potrebbe farne parte.
Le prime testimonianze certe sulla destinazione dell’isola Piana ad attività pastorali risalgono al 1700, quando la famiglia Maddau iniziò a dedicarsi in loco all’allevamento dei maiali. Fino agli anni '70 del secolo scorso, la famiglia Maddau, guidata da Baizittu, ora 86enne, gestiva le attività legate alla pastorizia. Le attività di trasporto animali via mare, invece, fecero capo dapprima alla famiglia Sotgiu e successivamente alla famiglia Diana, nella persona del capostipite Agostino, oggi 93enne. Della transumanza stintinese si parla poco, ma le tradizioni ad essa legate vivono nella memoria locale grazie a coloro che l’hanno vissuta e custodita, tramandandone il ricordo.