Sessinneddu

di Giovanni Fancello, Sardegna Wanderlust III

A Gergei il 2 e il 3 febbraio di ogni anno,si festeggia Santu Brai, San Biagio, il Santo protettore della gola e della voce. Cosa alquanto inusuale, e assai speciale, è che gli obrieri siano i bimbi di età sino a 10 anni; sono loro i protagonisti della festa. Il tutto inizia, la sera della vigilia quando alle sette, con il rintocco dell’Ave Maria, l’officiante, solitamente il parroco, benedice una grande catasta di legna, e i giovanissimi obrieri accendono e alimentano su foghidoni, il falò, in sa pratza de cresia. La piazza della chiesa è rischiarata dalle saettanti fiamme e tutta la comunità fa festa davanti al fuoco. Musica, balli e su cumbidu: ceci, salsiccia, carne, pane, vino e dolci, pirichiteddus, riscaldano e alimentano l’euforia della festa. Il giorno successivo, il 3 febbraio, dopo la santa messa e la benedizione de su sessineddu, per le vie del paese accompagnata da sos gosos o gocius, le laudi cantate, sfila la processione, con il simulacro del Santo. Grandi e piccoli ostentano e portano con orgoglio, per tutto il percorso della processione, l’emblema della festa: su sessineddu. Quando ormai il giorno lascia il posto alla notte e la processione si dissolve, è di nuovo il fuoco che riaccende la festa, con l’augurio di una felice prosperità. Su sessineddu è un simbolico dono di abbondanza che suggerisce rispetto e devozione. È uno scambio di augurio tra i grandi, ma è dono prezioso per i bimbi, ricco di significati e di bellezza. Il nome sessineddu lo eredita da su sessini, un coriaceo giunco che cresce nelle zone umide del paese, e la sua preparazione richiede dedizione e tempo: si comincia con la raccolta durante il solstizio d’estate, più precisamente il giorno di san Giovanni, quando la luna è piena, ripetendo gesti che appartengono ai riti precristiani. Su sessini viene raccolto nel pieno del suo vigore, quando si ritiene che la pianta possegga il massimo della sua energia. Su sessini, ha foglie lunghe, sottili, e dopo averlo essiccato,lo si bagna per renderlo malleabile, per poter realizzare con maggiore facilità resistenti lacci e corde.

Alcuni giorni prima della festa esperte mani iniziano a dare forma a su sessineddu: con quattro, o sei resistenti fili di sessini, si intrecciano e si annodano i frutti, principalmente tre, a scelta tra: melagrane, arance, mele (melixedda era), melecotogne. Viene arricchito con fichi secchi, uva passa, foglie di alloro, rosmarino, nastri rossi, caramelle, cioccolatini, un rosario di pasta di pane, piccoli pani rituali, cocoeddus, un cordoncino, su cordonitu, da portare poi, stretto al collo per proteggersi dal mal di gola; non devono mancare pezzi di lardo, filetto di maiale secco, mustela, salsiccia, grasso renale del maiale, s’ollubambu, e lo si abbellisce ulteriormente con fiori freschi di narciso selvatico. Aspergere e benedire is sessineddus, è conferire a tutti gli elementi che li compongono, una valenza taumaturgica, capace di prevenire e salvaguardare dai malanni del periodo invernale: mal di gola, della voce, raffreddore e tosse.

Su sessineddu è un manufatto dalla straordinaria e originale bellezza, specie quello creato dai fratelli Patrizia e Vinicio della Pro Loco di Gergei. Sono oggetti intrisi di suggestivi significati che stimolano curiosità e approfondimento, sollecitati dai gesti e dai racconti dei due fratelli.

Sull’origine de su sessineddu diverse sono le leggende: c’è chi lo assimila ai pendenti di frutta assai simili a quelli riportati nelle tombe egizie; chi ipotizza che lo avessero portato a Gergei i frati Trinitari; chi coinvolge gli antichi popoli della Palestina dai quali potrebbero essere originari i geergesi. Uno studio attento su su sessineddu è stato condotto da Maria Antonietta Orrù, della locale Pro Loco, con puntuali analisi storiche e antropologiche. La studiosa sottolinea che su sessineddu faccia parte di un rito unico che si perpetua solo a Gergei; che comunque, potrebbe non avere origini lontane, ma che è indispensabile: «riconoscere che su sessineddu è un prodotto culturale autoctono e non importato, significa prendere coscienza del fatto che la comunità geergese ha avuto una sorta di “ingegno etnico”, espressione, in un determinato momento, di fantasia e di creatività, elaboratasi in loco». Una pura “invenzione” che prende forma e sostanza da una fantasiosa creatività nell’abbinare i prodotti locali da donare, riconosciuta e da subito adottata dalla comunità, fino a farla diventare “tradizione”; consentendo al manufatto di evolversi e di resistere nel tempo.  Su sessineddu è stato adottato e viene tramandato, perché creato con cultura, sapienza, grande senso estetico e confezionato con i prodotti esclusivi del territorio di Gergei.

Un oggetto bellissimo inserito nel contesto di una festa cristiana dove si stratificano gesti e conoscenze antiche: il fuoco è purificazione, luce, calore, allontana il freddo invernale; il nastro rosso è energia, simbolo della seduzione e della tentazione. La melagrana è da sempre portafortuna; l’uva, fresca e secca simboleggia la rinascita, amore, pace, gioia, e rivincita sulla morte; la cotogna è emblema dell’amore e della fertilità; il fiore del narciso, già cresceva nei campi Elisi, è la raffigurazione dell’aldilà; il fico è l’emblema della vita e della forza; l’arancia nel mondo antico era segno di fecondità e d’amore; l’alloro era la suprema di tutte le piante e icona di nobiltà; il rosmarino è la metafora della fedeltà, dell’amore/morte; is cocoeddus pintaus, rappresentano la sacralità del dono, frutto della terra, che esprime devozione. Su sessineddu è dono da offrire al santo, alla Chiesa, come già accadeva nel mondo antico, e ben documentato nel mondo egizio, quando si omaggiava il divino con offerte di incenso, fiori, pane e doni della terra, legati e artisticamente intrecciati con lacci di papiro. Era una elegante preparazione, riportata anche nelle pitture sui papiri e così realizzata per pura praticità, e non espressione o forma di precisi rituali, come lo è invece su sessineddu.

Su sessineddu è oggi un prezioso dono, simbolo essenziale di una festa che non ha dimenticato e perso i collegamenti con i riti del passato.