di Stefano Resmini, Sardegna Wanderlust III
C’è un fermo-immagine che più di ogni altro racconta e incanta: sia che piova, che faccia freddo, che tiri vento, o che un impertinente sole scaldi; ieratiche e puntuali le Prioresse si arrampicano, si distendono, si allargano lungo le strette vie dei tre rioni di Desulo. In mano portano palme finemente intrecciate, vestono a festa con quel costume dalle asimmetriche forme e colori. A Desulo le campane suonano gioiose: è la domenica delle Palme, si commemora la gioiosa entrata di Gesù a Gerusalemme. Preludio di una settimana ricca di rituali, di suggestioni, perpetuati nel tempo e mai dimenticati. È lo scalpiccio ritmato dei passi sul selciato, il salmodiare cantilenante delle preghiere a risvegliare le case, gli abitanti di quel borgo sperduto. La luce tersa si irradia dai monti che lo sovrastano e lo incorniciano. Desulo paese di neve, di quercete, di castagneti, di mandorleti, di pastori transumanti, di poeti e di Prioresse. Sono settanta le Prioresse, sette per ognuna delle dieci Compagnie. Scrutano le trame del tempo e riannodano i fili della memoria. Trapassano riti e rituali, consce del loro ministero. Leste, precise si insinuano tra le pieghe del calendario liturgico e con gesta cariche di fede e di saggezza popolare, scandiscono il tempo, perpetuando immemori liturgie. Tre sono i rioni storici del paese, con le loro feste e i relativi culti da conservare. A Issiria si celebra Sant’Antonio Abate, San Giuseppe, il Sacro Cuore, Nostra Signora del Rosario e la Santa Croce. A Ovolaccio si festeggia San Basilio, Santa Rita e Nostra Signora del Carmine. Ad Asuai due sono le ricorrenze da onorare San Sebastiano e Nostra Signora del Rimedio. Sono le Prioresse a curare, abbellire, a decorare di fiori e di candele le chiese dedicate ai Santi, a organizzare la festa allo scoccare della ricorrenza religiosa. Sono donne e laiche, di specchiata fede cristiana, giovani o anziane, ravvivano e animano la vita sociale e parrocchiale. Sono loro a vestire il simulacro della Beata Vergine, del Santo o della Santa, a conservare la bandiera o lo stendardo, simboli carichi di significati religiosi, antropologici e artistici. Solerti e orgogliose, per un anno intero officiano il compito loro affidato. È la Prioressa titolare a sovraintendere e a nominare le sei consorelle minori, ma è il parroco, in una partecipata cerimonia liturgica a conferire il mandato, a benedire il passaggio della bandiera e dello stendardo, rito che si rinnova annualmente in occasione della ricorrenza del Santo o del culto a cui è devota e dedicata la Prioria. Con le loro gesta, inconsapevoli, tessono e tramandano un tempo che scorre imperituro, che diventa presente e si proietta in un futuro prossimo e venturo. Suggellano saperi che si sostanziano in un contemporaneo fluire che identifica e perpetua generazioni. Lo fanno per dedizione, per voto, per ringraziamento o per devozione. Compattano un substrato sociale che non si vuole perdere o dimenticare. Come le antiche Vestali, che mantenevano vivo il sacro fuoco, alimentano tradizioni che scandiscono l’ineluttabile scorrere della conoscenza, rendendola consapevole e condivisa. Rimarcano, segnano scenograficamente le feste, ammantandole di bellezza. Non tralasciano i doveri, i compiti di carità solidale, aiutando chi soffre, accompagnando insieme i defunti, con le loro bandiere, le loro candele, in un gesto intimo, di grande partecipazione personale e sociale. Perché il loro è un vero e proprio ministero, sancito dal Codice Canonico, come ce lo ricorda Luca Nonnis (docente di discipline artistiche e religiose e responsabile parrocchiale per i Beni Sacri Culturali di Desulo). Ma anche perché come ci dice Daniela Zanda, la Prioressa è la sorella, è la zia, è la mamma, è la figlia, è la comare, è l’amica che veste, con innato orgoglio, i panni della consorella, per perpetuare il tempo che tutto unisce e identifica.